Il Soccorso Sanitario anche ai privati?

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  1. croceitaliana
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    Sono il titolare di una Società privata, che si occupa di servizi sanitari da oltre otto anni.
    Abbiamo un parco macchine di dieci ambulanze dotate di tutti i presidi più moderni e diamo lavoro ad oltre trenta dipendenti, tutti regolarmente assunti e costantemente addestrati con vari corsi di formazione.
    Ad oggi operiamo con tutti i maggiori Ospedali della provincia, per i quali svolgiamo tutti i servizi ordinari e di emergenza.
    Ma purtroppo dopo anni di discusioni continuiamo ad avere dei grossi problemi con il 118 locale, il quale non ci vuole riconoscere ed addirittura ci vieta di soccorrere eventuali infortunati perche vuole fare intervenire sempre le ambulanze delle varie associazioni di volontariato, con attese di oltre quindici / venti minuti visto la grave carenza di personale e mezzi. Ovviamente, capirete lo stupore dei presenti e le varie minacce di denunce per omissione di soccorso che rischiamo quotidianamente. sottolineo che noi operiamo alle stesse tariffe imposte dalla regione, sia per le associazioni di volontariato che per le aziende private. Sono a chiederle un consiglio su come poter risolvere il problema e se veramente rischiamo delle denunce per omissione di soccorso, inoltre vorrei anche capire perchè non si voglia affidare il soccorso a dei professionisti. In attesa di una sua risposta le porgo distinti saluti
     
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    E' la centrale operativa che deve autorizzare un "servizio urgente d'istituto" e se questo non avviene, presumo su una linea registrata, non c'è problema...
    a meno che non c'è un'altra istituzione (es: 112, 113, 115) sul posto che obbliga ad un trasporto immediato per stato di necessità... e che se ne assume la responsabilità.
    Ultimamente era uscita una sentenza che poteva interessarla... devo ritrovarla, a breve la pubblicherò!!


    Saluti dallo staff "Coes Lazio"
     
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    Cliccando sul link sotto può leggere una sentenza che in parte risponde alle sue domande...

    http://coeslazio.forumfree.net/?t=12773859

    CONTRATTI DELLA P.A. - ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO - ATTIVITA' DI VOLONTARIATO - CARATTERI - DISCIPLINA EX ART.2 L.266/1991 - IMPOSSIBILITA' DI RETRIBUZIONE - APPALTO DI SERVIZI SANITARI AD ORGANIZZAZIONE DI VOLONTARIATO - INCOMPATIBILITA' CON LA NATURA DELL'ATTIVITA' DI VOLONTARIATO - RAGIONI

    L'art. 2, co. 1 e 2, della legge 266/1991 (legge quadro sul volontariato) prevede, sotto la rubrica Attività di volontariato, che per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà; ed inoltre: - che l'attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario; - che al volontario possono essere soltanto rimborsate dall'organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.
    Il comma 3 dell'art. 2 cit. stabilisce, inoltre, l'incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte.
    La caratteristica precipua dell'attività di volontariato consiste dunque nella sua gratuità, che comporta come corollario inevitabile l'impossibilità di retribuire la medesima, anche da parte del beneficiario.
    E' evidente, quindi, che la stipulazione di un contratto a titolo oneroso, quale l'appalto pubblico di servizi sanitari, si pone come incompatibile rispetto a tale fondamentale aspetto del volontariato.
    L'onerosità presuppone infatti che un soggetto, per acquistare un qualsiasi tipo di diritto, beneficio o vantaggio, accetti un correlativo sacrificio, sussistendo tra vantaggio e sacrificio un nesso di causalità, laddove la gratuità implica che un soggetto acquisisca un vantaggio senza alcun correlativo sacrificio.
    L'onerosità implica, dunque, che l'Amministrazione - per conseguire il vantaggio rappresentato dall'espletamento del servizio dedotto in appalto - corrisponda il correlativo prezzo, evidentemente comprensivo della retribuzione dei lavoratori impiegati per svolgerlo.
    Tuttavia, come s'è visto, i volontari inquadrati in un'associazione non possono essere retribuiti in alcun modo.
    Dalle considerazioni che precedono emerge quindi un primo fondamentale profilo di incompatibilità tra espletamento di gara finalizzata all'aggiudicazione di un pubblico servizio - giusta la definizione fornita dall'art. 3 co. 1 d. l.vo 157/95 - e partecipazione, alla medesima, di associazioni di volontariato.
    Del resto, l'art. 5 della l. 266/91, sotto la rubrica Risorse economiche, prevede che le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria attività da: a) contributi degli aderenti; b) contributi di privati; c) contributi dello Stato, di enti o di istituzioni pubbliche finalizzati esclusivamente al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti; d) contributi di organismi internazionali; e) donazioni e lasciti testamentari; f) rimborsi derivanti da convenzioni; g) entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.
    Quindi la legge non vieta in assoluto alle associazioni di volontariato di espletare attività commerciali, purché tuttavia esse siano "marginali"; al riguardo, è stato osservato in giurisprudenza che: "È illegittima l'aggiudicazione di una gara (nel caso di specie, avente per oggetto il servizio di telesoccorso) ad un'associazione di volontariato, considerato che quest'ultima non avrebbe potuto essere ammessa a partecipare alla gara stessa, in quanto alla stregua dell'art. 5 l. n. 266 del 1991 i proventi di tali associazioni sono costituiti esclusivamente dai rimborsi derivanti dalle convenzioni e da attività commerciali e produttive marginali, tra cui non rientrano gli appalti pubblici, che presuppongono una comparazione delle offerte con criteri concorrenziali di convenienza tecnico - economica, incompatibile con la natura dell'attività di volontariato" (T.A.R. Piemonte, sez. II, 18 aprile 2005, n. 1043).
    Nella motivazione della predetta sentenza del T.A.R. Piemonte si osserva che la possibilità, per le associazioni di volontariato, di usufruire di entrate derivanti da "attività commerciali e produttive marginali", prevista dall'art. 5 della legge 266/1991, è ipotesi che si discosta dalle attività esercitate a scopo di lucro e soggette alla logica di mercato, in quanto il D.M. 25 maggio 1995, emanato su delega della legge quadro, precisa che tali attività devono essere svolte "senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l'uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell'impresa"; inoltre, il D. P. C. M. 30 marzo 2001, deputato a precisare il ruolo del terzo settore nella programmazione e gestione dei servizi alla persona, consente che le organizzazioni di volontariato vengano coinvolte "nei servizi e nelle prestazioni anche di carattere promozionale complementari a servizi che richiedono una organizzazione complessa" ma precisa espressamente che il requisito della professionalità, assente per natura nelle associazioni di volontariato, resta indispensabile ogni volta che debbano essere garantiti servizi la cui complessità ne escluda il carattere di complementarietà nel contesto dell'organizzazione
    dell'erogazione del servizio stesso.
    La conseguenza, per il T.A.R. piemontese, è la seguente: "La partecipazione ad una procedura di selezione concorrenziale è quindi, per regola, preclusa alle associazioni di volontariato, non potendo le stesse avvalersi di proventi che deriverebbero dal discendente contratto sinallagmatico, pena la violazione delle norme e dei principi fondamentali sopra richiamati".
    L'ordinamento, cioè, riserva alle organizzazioni in questione una particolare posizione, favorendone l'apporto ausiliario nei confronti della Pubblica Amministrazione, ma senza alcuna loro assimilazione alla logica di mercato, non potendo esse presentare in dipendenza del loro peculiare modello organizzativo e gestionale offerte indicanti un corrispettivo per i servizi da prestare (cfr. T.A.R. Lombardia - Milano, sez. III, n. 1869/2000).
    Le osservazioni che precedono non possono essere revocate in dubbio, in considerazione della circostanza che, tra le suddette risorse economiche, siano previsti anche, alla lett. f), i rimborsi derivanti da convenzioni.
    La disciplina di tali convenzioni si rinviene nel successivo art. 7 della legge 266/91, ai sensi del cui comma 1 lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei registri di cui all'articolo 6 e che dimostrino attitudine e capacità operativa; il secondo comma dispone che le convenzioni devono contenere disposizioni dirette a garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, nonché il rispetto dei diritti e della dignità degli utenti, e devono inoltre prevedere forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché le modalità di rimborso delle spese; mentre il comma 3 stabilisce che la copertura assicurativa di cui all'articolo 4 è elemento essenziale della convenzione e gli oneri relativi sono a carico dell'ente con il quale viene stipulata la convenzione medesima.
    Al riguardo, nella parte motiva della citata decisione del T.A.R. Piemonte, n. 1043/2005, si precisa che le "convenzioni" cui fa riferimento il citato art. 5 della legge 266/1991 hanno natura completamente diversa rispetto ai rapporti contrattuali instaurati, come quello di specie, all'esito di una procedura di selezione operata da una pubblica amministrazione, atteggiandosi come uno strumento del tutto peculiare, che prescinde dalle regole della concorrenza al fine di promuovere attività realizzabili solo con il diretto coinvolgimento delle associazioni di volontariato nel sistema d'interventi e servizi di solidarietà, condizionato però dalla normativa di riferimento alla salvaguardia della natura e finalità (art. 3 DPCM 30 marzo 2001) delle stesse associazioni di volontariato, in armonia con l'art. 1 della legge quadro, secondo cui "La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell'attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà...".
    La Pubblica Amministrazione, dovendo affidare servizi di assistenza sanitaria, resta quindi libera, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, volti alla migliore organizzazione dei servizi in questione, di stipulare convenzioni con le associazioni di volontariato regolarmente registrate, convenzioni soggiacenti alla disciplina specifica dettata dal citato art. 7 l. 266/91; ma nel momento in cui decide, invece, di attivare lo strumento della gara pubblica, e d'aggiudicare il servizio al migliore offerente, individuato secondo il rispetto dei criteri individuati dalla normativa di settore, rinuncia esplicitamente ad avvalersi dello strumento convenzionale di cui sopra, e deve consentire la partecipazione alla gara esclusivamente a soggetti economici che esercitino in forma professionale ed imprenditoriale l'attività dedotta in appalto.
    Si tratta della stessa posizione assunta dal T.A.R. Lombardia nella sentenza n. 459 del 14 marzo 2003, la cui massima recita:"È illegittima la partecipazione a gare d'appalto delle organizzazioni di volontariato, a causa della posizione di favore alle stesse riservata dall'ordinamento ai fini della partecipazione allo svolgimento di servizi socio - sanitari, che può trovare, invece, attuazione in apposite convenzioni con enti pubblici".

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2 replies since 7/12/2006, 00:32   103 views
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